Da una spontanea osservazione di mio figlio durante un pomeriggio emozionante parte il breve viaggio che voglio raccontare: Lisca bianca, la barca col pesce mangiato.

Il primo avvistamento
Nel primo pomeriggio del breve viaggio che sto per raccontare, io e mio figlio eravamo arrivati con largo anticipo allo storico porticciolo della Cala di Palermo.
Questo ci ha permesso di notare subito la barca arrivare al molo e attraccare dopo una precedente uscita, barca che avevamo riconosciuto dalla lisca attaccata alla prua.
L’entusiasmo di mio figlio era alle stelle e fu in quell’istante che esclamò la frase che ha dato poi il titolo all’articolo: “Papà guarda, la barca col pesce mangiato”.
Lo stupore e la semplicità dei bambini è sempre affascinante e disarmante così ho deciso di dare spazio a quelle emozioni che poi durarono, e in misura crescente, durante tutto il breve viaggio in mare.
Da lì a poco avremmo affrontato insieme una breve navigazione lungo la costa palermitana a bordo della celebre imbarcazione Lisca Bianca, la barca col pesce mangiato.
Un’imbarcazione dalla nobile storia
Non conoscevo l’esistenza di tale meraviglia di imbarcazione e tanto meno la sua nobile storia di avventura e di ricerca di una libertà dimenticata attorno al mondo, di uno stile di vita che è scelta di benessere.
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Voluta dai coniugi Sergio e Licia Albeggiani all’esordio della vita da liberi per cambiare rotta, è proprio il caso di dirlo, e lasciarsi condurre dai venti, non solo quelli reali ma anche da quelli emotivi, istintivi, Lisca Bianca è una barca dove…
“Tutto,… nel piccolo veliero oceanico, deve essere fatto all’insegna del solido, del razionale, del non appariscente, del collaudato da secolari esperienze di impiego in mari duri. Tutto il contrario di quanto prodotto dall’industria dei consumi, che punta sull’effimero, sul continuo cambiare delle ‘mode’, che vive del massiccio ricorso al ‘pezzo di ricambio’, all’usa-e-getta (il navigatore oceanico, per contro, conserva tutto e non butta via mai niente)”
(Sergio Albeggiani – “Le isole lontane” Mursia Editore pag. 23)
Una barca dunque costruita per navigare in mare aperto, da ‘vivere‘ e ‘abitare‘ facendo affidamento su robustezza e sicurezza, badando all’essenziale, al semplice, avendo come riferimento cose e persone che hanno vissuto dure esperienze per farne di analoghe e crescere comunque.
– la scelta dell’imbarcazione
La costruzione di Lisca Bianca, in verità Lisca Bianca II, ebbe inizio nel novembre del 1978 e naturalmente lo studio per la scelta del tipo di imbarcazione più adatta per essere abitata e vissuta nella traversata attorno al mondo, era iniziata diversi anni indietro, intorno al 1970.
I coniugi Albeggiani optarono per un “Carol Ketch” una versione più grande del Ketch Tahitiano di una lunghezza fuori tutto di circa undici metri, affascinati com’erano stati dall’episodio di un navigatore solitario che con una tale imbarcazione aveva superato l’uragano Carrie nel 1957.

Attraverso i piani che erano stati convertiti in sistema metrico decimale da misure inglesi l’onere della costruzione dello scafo e delle sovrastrutture in legno fu assegnata ad un giovane maestro d’ascia di uno dei tanti piccoli cantieri esistenti a Porticello, piccolo borgo marinaro nei pressi di Palermo, dove all’epoca c’era una consistente flotta peschereccia.
I lavori durarono circa tre anni con gli Albeggiani che non esitavano, convinti com’erano, a vendere quadri, tappeti, servizi d’argento e persino suppellettili per garantirne la copertura finanziaria, oltre alla vendita di Lisca Bianca I e alla buonuscita del pensionamento di Licia.
Il 14 novembre 1981 avviene il varo agli occhi di una piccola folla di parenti, amici, pescatori e curiosi, dopo la rituale benedizione di un frate che…
“…le augura di andare in pace per i mari del mondo e di ritornare indenne.”
Il giro del mondo
Navigare è sinonimo di viaggiare e navigare attorno al mondo è come destreggiarsi nel mare della vita, lungo tutto il corso della vita. Probabilmente navigare o iniziare a navigare è anche un modo per dire sì alla vita, una scelta di benessere, come dicevo sopra.
Si dice di una persona navigata come di una persona che ne ha affrontate di maree nella propria vita, che ha trovato approdo su lidi sconosciuti, alle volte pericolosi, scoprendo però posti meravigliosi e rinsaldando la migliore parte di sé.
Probabilmente facendo anche diversi ‘giri del mondo’, come ormai erano intenzionati a fare anche i coniugi Albeggiani.
Mio figlio, se fosse per lui, farebbe continui giri del mondo alla sua tenera età di sei anni… (anch’io mi dilettavo a viaggiare spesso all’avventura).
Il breve tragitto di navigazione sulla barca col pesce mangiato lungo la costa palermitana deve essergli sembrato proprio così, un breve giro del mondo abituato com’è da piccolo a vedere tutto più grande di lui.

Alla vista della barca col pesce mangiato non stava nella pelle, e mentre la mattina stessa alla notizia dell’esperienza che avrebbe vissuto non ne voleva sapere di salire a bordo (percepita la paura che gli suscitava l’idea di trovarsi in mare aperto), alla vista di Lisca Bianca alla Cala zompettava dalla voglia di imbarcarsi.
Così iniziava il viaggio!
– la partenza
Il calmo porticciolo della Cala di Palermo è un infinito intreccio di varchi dove riposano serenamente numerose barche a vela di ogni tipo.
Diversi anni fa era un prospero ricovero di barche di pescatori che prendevano il largo e ritornavano carichi di ogni sorta di pescato; mentre alle origini la Cala dette la denominazione alla città, chiamata appunto Panormos (dal greco ‘città tutto porto’), proprio perché era il principale approdo che arrivava fino alle mura interne.
Mio figlio osservava entusiasta le imbarcazioni ormeggiate ed alla vista di una grossa barca a vela di colore rosso, da sempre innamorato del rosso Ferrari, per poco non cadeva a mare prima ancora della traversata.
– l’uscita in mare aperto

E’ vero che dal mare si hanno differenti prospettive e quello che si percepiva lungo la costa appena usciti dal porticciolo della Cala era una sensazione mista tra stupore, paura, desiderio di avventura e molta molta incertezza:
- Stupore, perché agli occhi di tutti i naviganti che si sono succeduti nei secoli, la città di Palermo doveva apparire veramente bella, come appariva a noi;
- Paura e incertezza perché non si sa mai cosa riserva il mare, il senso di inadeguatezza ti prende subito al volo specie se decidi di fidarti così all’improvviso come era successo a noi;
- Desiderio d’avventura perché è nello stesso tempo affascinante spingersi al largo senza sapere cosa può succedere sballottati dalle onde come da un cavallo indomito in cerca di un nuovo approdo sconosciuto.
Lasciare tutto facendosi trascinare da sensazioni come queste è un pò tornare bambini e avere voglia di abbattere tutte le palafitte costruite fino a quel momento per riprendere a navigare solcando mari agitati e non restando immobili nelle acque calme della costa.
In fondo, abbiamo sempre bisogno di ‘acque calme’, di veleggiare lungo la costa senza mai avventurarci in mare aperto perché lì si sa ci sono i pescecani che possono sempre addentarci.
– l’ancoraggio
La navigazione fino al punto di ancoraggio al largo di fronte un altro porticciolo di Palermo quello dell’Arenella, era stata piuttosto agitata, almeno per quanto poteva apparire a noi poveri neofiti di barche a vela; a differenza di mio figlio che trascorse il tempo occorrente a sgranocchiare un buon panino al formaggio e sorseggiare del té.
Il suo serafico e felice atteggiamento aveva qualcosa di straordinario, e ancor di più quando, calata l’àncora, anche per lui era giunto il momento di tuffarsi nelle acque cristalline sotto di noi.

Mentre la Tonnara Florio si stagliava un pò più in là, tra alti palazzoni senza gusto architettonico, osservavo le manovre di ancoraggio orchestrate dal comandante e avvallate dal nostromo.
Anche sulla barca col pesce mangiato la tecnologia ormai la faceva da padrone e la calata dell’àncora si eseguiva con un telecomando che contava i piedi del fondale.
Mentre mio figlio si apprestava ad indossare il suo giubbino salvagente, mi veniva in mente un altro talento che probabilmente i coniugi Albeggiani dovevano possedere: una buona dose di coraggio… per ‘aprirsi’ in mare aperto e girare il mondo con la tecnologia di almeno 30 anni addietro.
– il tuffo in acque profonde
Così era giunto il momento di tuffarsi, e di tuffarsi in acque profonde, con quella voglia spasmodica di divenire tutt’uno con l’acqua, ancor più per mio figlio che, ormai neo provetto nuotatore in piscina, temeva meno che mai le acque scure che gli si prospettavano sotto gli occhi.

Con l’aiuto di quel giubbino galleggiante magistralmente fatto indossare dal nostromo, mio figlio si trovava semplicemente e facilmente a suo agio; la felicità gli si leggeva in quel sorriso stampigliato sul volto per tutta la durata del bagno non curante di tutta l’acqua salata che ingoiava e impossibilitato a stare fermo a galleggiare vista la sua abitudine ad agitarsi ogni qualvolta qualcosa lo rende felice.
In quel breve e nello stesso tempo lungo attimo di follia si vorrebbe fermare tutto perché proprio quell’attimo di scelta di benessere si è capaci di dimenticare ogni peso dando il giusto valore al tempo e liberando lo spazio alla vita che ti libera.
Questo probabilmente è stato il desiderio più grande dei coniugi Albeggiani che li ha spinti verso ‘Isole Lontane’ come hanno romanticamente raccontato nel loro libro.

Dopo lunghi trent’anni di abbandono, il Carol Ketch Lisca Bianca a partire dal 23 Settembre 2014 ha ripreso dunque a navigare, ed io e mio figlio abbiamo avuto l’onore di salire a bordo, calpestare il suo legno, toccare il suo cordame e le sue vele…
Oggi l’imbarcazione continua l’attività di navigazione non in giro nel mondo ma in giro per il mondo, il mondo del sociale che è inclusione e riduzione del disagio a largo raggio, come si legge sul sito dell’Associazione ‘Lisca Bianca’ che ne è promotrice e fautrice:
LISCABIANCA È UNA ORGANIZZAZIONE NO-PROFIT NATA PER FAVORIRE L’INCLUSIONE SOCIALE E LAVORATIVA DI GIOVANI SVANTAGGIATI, ATTRAVERSO IL RESTAURO DELL’OMONIMA IMBARCAZIONE SIMBOLO DELLA CULTURA E DELLA TRADIZIONE MEDITERRANEA. OGGI DOPO PIÙ DI 30 ANNI GRAZIE ALL’IMPEGNO DEI NOSTRI SOSTENITORI E PARTNER, LISCABIANCA TORNA A NAVIGARE VERSO NUOVI ORIZZONTI DI INCLUSIONE SOCIALE E LAVORATIVA.
I piedi per terra
Dopo due ore intense di viaggio il nostro pomeriggio da ‘creativi’ volgeva al termine e tornava nuovamente il momento di poggiare i piedi per terra.
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Durante la navigazione per il rientro, il mare ci appariva più amico, ci cullava questa volta come fa una mamma con il suo piccolo, e mentre il tramonto calava all’orizzonte mio figlio disteso sul ponte si godeva adesso un riposo ristoratore dopo aver finito di sgranocchiare il suo amato panino e aver scolato per intero il té rimasto.
L’attracco alla Cala era risultato più agevole della partenza; il rosso Ferrari dell’imbarcazione ormeggiata non scomponeva più di tanto mio figlio pieno com’era delle emozioni vissute con il giro del mondo, mentre io rientrato per un pomeriggio in me stesso mi apprestavo ad uscirne ancora una volta tornando a mettere i piedi per terra.
Ma questa volta possedevo una scelta di benessere in più e il cuore libero di sapere che navigare tante volte è necessario, se non vitale, in ogni momento della mia vita.
Conclusioni
Una scelta di vita spesso ci prende all’improvviso, colmi come siamo di mal-vivere e mal-essere accumulati negli anni, che ci spinge a sognare prima e scoprire poi isole lontane affascinanti perché appunto lontane ma capaci di condurci nei nostri più profondi e intimi desideri.
Una scelta di vita è anche spesso una scelta di benessere proprio perché, stanchi ormai di vivere da esuli, ci mette in contatto con noi stessi, con la propria voglia di libertà, con la creatività; e si sa, un atto creativo è un atto libero capace esso stesso di liberare; di liberare i sensi, le emozioni, i sogni, l’immaginazione, in breve… il cuore.
